Comune di Santa Maria di Sala
Città Metropolitana di Venezia

LE QUATTRO RAGAZZE WIESELBERGER_CIALENTE_FEBBRAIO2024

Il GDL Buffet Letterario
converserà sul romanzo di
Fausta Cialente “Le quattro ragazze Wieselberger”, 1976
in lettura per il 94° incontro del gruppo
mercoledì 21 febbraio 2024 ore 20.30
Biblioteca Filippo Farsetti

 
 

NOTIZIE BIOGRAFICHE E BIBLIOGRAFICHE DI FAUSTA CIALENTE
 
Nacque il 29 novembre 1898, nel quartiere storico di Stampace a Cagliari, dove suo padre Alfredo, un abruzzese di trentaquattro anni, ufficiale di carriera del r. esercito, aveva condotto la famiglia da Treviglio (dove l’anno avanti era nato il primogenito Renato). La madre era Elsa Wieselberger, triestina, che per il matrimonio aveva rinunciato a una promettente carriera di soprano, avviata sotto la guida del padre, stimatissimo musicista e membro autorevole dell’élite cittadina. Fausta visse l’infanzia e l’adolescenza in un ambiente fortemente turbato dal carattere tirannico del padre e dai trasferimenti continui presso i distretti militari in cui questi si trovava a prestare servizio: Osoppo, Cuorgnè, Jesi, Senigallia, Ancona, Padova, Bologna, Milano, Roma, Teramo, Firenze, Genova. Tuttavia, nonostante l’irregolarità della formazione scolastica, la giovane rivelò ben presto una spiccata inclinazione letteraria: dapprima appassionandosi ai racconti d’avventura (Salgari, Verne, Kipling, Dickens, Vamba), quindi attraverso le letture ‘proibite’ dei romanzi della madre (Pitigrilli, Zola, Maupassant, d’Annunzio), e quelle dei drammi di Shakespeare, conosciuti attraverso le performances domestiche del fratello, destinato a diventare uno fra i più grandi attori del suo tempo. Gli unici periodi di autentica spensieratezza familiare furono quelli vissuti a Trieste, nella villa del nonno materno Gustavo, immersa nella quiete della campagna costiera di via dell’Istria e affacciata sull’ampio orizzonte dell’Adriatico. Della famiglia materna, di origini viennesi e sentimenti irredentisti, Fausta coltivò a lungo la memoria rievocando l’atmosfera scintillante dei concerti della Società filarmonica, che si tenevano nella grande casa di piazza Ponterosso. L’euforia delle feste cui partecipavano la madre e le zie (in compagnia, tra gli altri giovani dell’alta società, di Ettore Schmitz), e l’amara disillusione che seguì nel primo dopoguerra con il crollo dell’Impero asburgico, furono narrate nella vasta tela autobiografica de Le quattro ragazze Wieselberger (Milano 1976), in cui Trieste è sentita come patria elettiva, per la tormentata identità di frontiera che ben rappresenta la sua condizione di intellettuale nomade e cosmopolita. A partire dal 1908, la rivelazione del talento di Renato, con l’assorbimento crescente negli studi e nelle recite teatrali, indusse il suo progressivo distacco dalla sorella; mentre l’abbandono della carriera militare del padre, per velleità commerciali mai realizzate, comportò il trasloco dei Cialente a Milano (dapprima in via Saffi, poi in via Dante), in cui la madre dava lezioni di canto per fronteggiare le precarie condizioni della famiglia. Al soggiorno a Roma, per seguire l’avvio della carriera del fratello, seguì il trasferimento a Firenze, dove Fausta si legò a Myrrhine, una ragazza francese con la quale condivideva l’interesse per il cinema (ebbe modo di vedere, tra l’altro, l’Assunta Spina, 1915, di Francesca Bertini), nei mesi che precedettero l’intervento dell’Italia. Trascorse in solitudine gli anni della guerra, nei modesti appartamenti di Genova (prima in corso Mentana e poi in via Felice Romani) dove, nell’impossibilità di riprendere gli studi regolari interrotti a Milano, si dedicò all’apprendimento dell’inglese «seguendo il corso e il metodo del vecchio professor Lysle» (Le quattro ragazze Wieselberger, cit., pp. 170 s.).
La svolta avvenne nell’estate del 1920, quando conobbe il non più giovane, ma cólto e benestante Enrico Terni (1876-1960), vicedirettore della filiale del Banco di Roma ad Alessandria d’Egitto e reduce da una separazione recente, il quale si trovava a trascorrere le vacanze in Italia. Esponente di una ricca famiglia ebrea di origine italiana stabilitasi ad Alessandria sin dal primo Ottocento, Enrico era anche musicologo, musicista, compositore, nonché vicepresidente della Société des concerts d’Egypte. Le nozze si celebrarono il 21 maggio 1921 a Fiume, allora città-stato non soggetta ai vincoli della legislazione italiana sul matrimonio, cui seguì il trasferimento in Egitto e l’accoglienza nella popolosa colonia di Alessandria, «nel gran crocicchio ch’era a quel tempo il Medio Oriente» (ibid., p. 208). L’ingresso della giovane sposa nel ménage familiare di casa Terni, «nelle ville che abitavamo nei quartieri residenziali lungo il mare» a Ramleh (al numero 5 di Rue Station Rushdy-Pacha) e di Bulkeley (in Rue Arthur Rowlatt, 22), fu agevolato dal rapporto cordiale con la suocera e i figli di primo letto di lui (ibid., p. 211). Col tempo, a mano a mano che Fausta scopriva le misere condizioni della popolazione contadina, imparando a conoscere l’umanità semplice del fellah, finì col biasimare la diffidenza dei Terni verso la plebe egiziana, spia del levantinismo razzista comune all’alta borghesia alessandrina, che denunciò nei romanzi del dopoguerra. Intanto, dopo la nascita della prima e unica figlia Lionella (detta Lili) il 10 giugno 1923, i coniugi continuarono a trascorrere lunghi soggiorni in patria che proseguirono con regolarità in tutto il periodo di vita egiziana – «in Italia andavamo quasi ogni estate, durante i mesi in cui la bambina era in vacanza» – quando Fausta tornava a rivedere i familiari e tentava di tenersi in contatto con il mondo letterario (ibid., p. 207). In questi primi anni di vita ad Alessandria, oltre alla passione per la musica, che rappresentò un legame simbolico tra la famiglia d’origine e quella nuova, furono soprattutto le appassionanti letture nella biblioteca di Enrico a incidere sulla sua formazione di scrittrice europea: «Nella casa di mio marito avevo trovato un’assai ricca biblioteca e mi ci ero gettata dentro con l’entusiasmo della mia età» (ibid., p. 208): qui, oltre a periodici come La Nouvelle Revue française di Jacques Rivière e Jean Paulhan, Europe di Romain Rolland, la Revue musicale di Henry Prunières, poté dedicarsi alla lettura di André Gide, Roger Martin du Gard, Alain-Fournier, Raymond Radiguet, Marcel Proust, Franz Kafka, Thomas Mann, Joseph Conrad, Katherine Mansfield, Virginia Woolf, James Joyce. Nel dicembre 1927 condusse a termine il suo primo romanzo Natalia, «frutto tardivo dei miei lontani ricordi della vecchia provincia italiana» (ibid., p. 214), insignito del premio dei Dieci per interessamento di Massimo Bontempelli che ne promosse la pubblicazione presso l’editrice Sapientia di Roma. Tra i critici che lodarono la prova d’esordio, Giovanni Titta Rosa (v. L'Italia letteraria, 16 febbraio 1930, p. 1) riconosceva nel tono dell’incipit il gesto della scrittrice di rango e individuava nell’ambiguità psicologica e morale della protagonista il basso continuo del racconto. Nello stesso anno e sullo stesso periodico, diretto allora da Giambattista Angioletti e Curzio Malaparte, apparve il racconto lungo Marianna che nel 1932 conseguì il premio Galante Bompiani, «ch’era così chiamato perché veniva concesso solamente alle scrittrici» (F. Cialente, Interno con figure, 1976, p. X). Da tale riconoscimento sperava di ottenere visibilità nell’asfittico panorama editoriale dell’Italia fascista, soprattutto dopo il caso-Natalia: il romanzo, infatti, esaurite le tremila copie della prima tiratura, era incappato nella censura del regime che imponeva la revisione di due passi – l’uno per oltraggio al pudore (la scena di lesbismo tra Natalia e Silvia) e l’altro per oltraggio alla patria (la svalutazione di Caporetto) – cui la scrittrice si oppose rinunciando alla ristampa. Circolò invece Natalie, la versione francese procurata da Henri Marchand ed edita dalla Nouvelle Librairie française nel 1932, preceduta dagli annunci della stampa d’Oltralpe sull’«étude vraiment attentive et pénétrante de la jeune fille italienne ‘d’après guerre’», e recensita entusiasticamente da Yves Gandon che l’accostò a Le grand Meaulnes di Alain-Fournier (Les Nouvelles littéraires, artistiques et scientifiques, 17 settembre 1932, p. 3). Il 1930 fu un anno importante per la sua carriera letteraria poiché scrisse allora il suo primo romanzo di ambientazione egiziana, Cortile a Cleopatra, terminato il 27 aprile 1931 e proposto a Mondadori che lo rifiutò nonostante l’intervento del direttore della Comit Raffaele Mattioli, sollecitato dal parere autorevole del giornalista e consulente editoriale Pio Schinetti (cfr. E. Decleva, Arnoldo Mondadori, Milano 2007, p. 162). La pubblicazione dell’opera non fu possibile prima della fine del 1935, sulle colonne dell’Italia letteraria, come anticipazione dell’uscita in volume presso Corticelli di Milano, nel 1936. Ma del libro si accorsero in pochi, tra i quali un giovanissimo Ruggero Jacobbi che lo recensì in Quadrivio (il 13 settembre 1936: per cui v. M. Nepi, F. C. scrittrice europea, 2012, pp. 55 s.). Risale a quel periodo il sodalizio con Sibilla Aleramo, fattosi più intenso dopo il soggiorno al lago di Braies, nell’estate del 1933, dove, tra l’altro, le due amiche incontrarono il vecchio comparatista Arturo Farinelli che si trovava a villeggiare in Alto Adige. Nello stesso 1933 Cialente aveva pubblicato nell’Almanacco letterario Bompiani, un intervento indicativo della sua volontà di smarcarsi dalla narrativa italiana ‘di genere’, in cui denunciava l’«ossessione autobiografica» della letteratura femminile in voga nell’Italia fascista e la «mancanza di audacia nella forma», ancora condizionata dall’«estetismo dannunziano» (Le scrittrici, Milano 1933, p. 28: cit. in Nepi, 2012, p. 8). Partita in nave ai primi di giugno da Alessandria, si era fermata a Milano per un mese, durante il quale aiutò la madre a ottenere la separazione dal marito Alfredo; qui tentò senza successo i contatti con l’editoria milanese per pubblicare Cortile a Cleopatra, raccontando all’amica le sue «vicende con gli editori, inavvicinabili, bugiardi o addirittura indegni» che la lasciarono «perfettamente scoraggiata, malgrado le buone parole e gli ottimi giudizi di quanti hanno letto il libro»; intorno al 10 luglio era sulle Dolomiti dove lavorò alla correzione della traduzione in francese di Marchand di Cortile a Cleopatra, rimasta inedita. Il sodalizio con Sibilla incise anche sulla maturazione della coscienza ‘femminista’ della scrittrice, dopo la rilettura di Una donna: «Che grande libro è il tuo, Sibilla, oggi l’ho sentito molto più della prima volta» (lettera del 12 ottobre 1933, conservata in Roma, Fondazione Gramsci, Fondo Sibilla Aleramo). Non riuscì tuttavia nell’intento di ospitare l’amica ad Alessandria, per una conferenza sull’emancipazione femminile proposta a Marcel Fort, preside del liceo francese (il programma della «Société des conférences» di quell’anno prevedeva anche Ugo Ojetti e Giovanni Papini). Da parte sua, la Aleramo la aiutò a stabilire contatti con riviste e case editrici in Italia: fu lei a proporla al direttore di Occidente Armando Ghelardini, intellettuale cosmopolita, epigono del futurismo ed emulo di Bontempelli, esponente della generazione dei giovani avanguardisti romani che si muovevano sul pericoloso crinale tra fascismo e antifascismo. Qui le riuscì di pubblicare Pamela o La bella estate nel n. 12 dell’agosto 1935, poco prima che il trimestrale chiudesse i battenti insieme con Le Edizioni d’Italia, la casa editrice diretta da Ghelardini, il quale venne arrestato alla fine dell’anno. Nel novembre 1934 vide Little women (1933) di George Cukor, il film con Katharine Hepburn che dava eco al tema dell’emancipazione femminile, pluripremiato alla cerimonia degli Oscar di quell’anno e tratto dal best-seller di Louise May Alcott che la Cialente traduttrice avrebbe contribuito a diffondere nell’Italia del secondo Novecento. Tra le letture di quell’anno spiccano gli inglesi: Lord Jim e Cuore di tenebra di Conrad, The Fountain di Charles Morgan, letti nella versione francese, e le «bellissime» lettere di David Herbert Lawrence, «anche lui come la Mansfield molto superiore nella sua corrispondenza» (lettera a S. Aleramo del 1° novembre). Nel corso degli anni Trenta seguì la pubblicazione dei racconti per il Giornale d’Oriente, il periodico diretto da Giuseppe Galassi e distribuito ad Alessandria, al Cairo e a Porto Said, Interno con figure (1936-37) e Passeggiata con Angela (1938); mentre, nello stesso 1938, uscivano in Italia le novelle Malpasso e Ilia, edite sul settimanale di Pitigrilli Le grandi firme, rispettivamente il 27 gennaio e il 19 maggio (nn. 348 e 364). Negli anni del profondo turbamento della colonia italiana di Alessandria indotto dalla fascistizzazione delle istituzioni egiziane e culminato con i provvedimenti delle leggi razziali, accadde che il club cosmopolita de L’Atelier di cui Enrico Terni era segretario e al quale Fausta partecipava attivamente, andasse trasformandosi da circolo artistico in circolo politico. La stessa casa Terni, «una delle poche ch’era frequentata da intellettuali di tutte le nazionalità ed estrazioni sociali» (Interno con figure, cit., p. XI), fu luogo di passaggio di fuorusciti e dissidenti, e nel 1938 offrì ospitalità al musicista catalano Pablo Casals, testimone degli orrori della guerra spagnola. Intanto, con l’entrata dell’Italia in guerra, la madre Elsa si era trasferita presso la sorella Alice nel Varesotto, in un’abitazione acquistata da un nipote di lei, «perché le due anziane donne non soffrissero i bombardamenti su Milano» (Le quattro ragazze Wieselberger, cit., p. 230). L’esistenza della scrittrice era destinata a cambiare improvvisamente nell’estate del 1940, con l’offensiva italiana ordinata da Mussolini nell’Egitto occupato dalle truppe del generale Archibald Wavell, comandante in capo delle forze britanniche in Medio Oriente. Nell’ottobre di quell’anno si trasferì al Cairo per prendere parte alla lotta antifascista, iniziando così i sei anni di vita laboriosa e avventurosa, documentata dai quaderni inediti che formano il Diario di guerra (1941-47), donato dalla figlia Lili a Maria Corti per essere custodito nel Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia (cfr. E. Carbè, Tra le carte…, 2013, pp. 175-177). Nel primo capitolo di un racconto incompiuto, intitolato Middle-East, rievocò l’avvio di quell’eccezionale esperienza: «Ero partita da Alessandria, quell’ottobre, chiamata dal G.H.R. (il Gran Quartiere Generale) del Cairo, e nessuno l’aveva saputo, tranne mio marito, mia figlia e l’amico che mi aveva segnalata alle autorità britanniche quale buon elemento da utilizzare nella propaganda antifascista» (Millenovecentoquaranta, dattiloscritto datato luglio 1947, allegato 9.5 del Diario di Guerra; poi edito in F. Rubini, Middle East di F. C., 2014, p. 147). L’amico era il giovane antifascista Paolo Vittorelli, alias Raffaello Battino, giornalista dell’emittente britannica di Radio Cairo nonché docente all’École française de droît, che nello stesso anno aveva fondato il movimento Giustizia e Libertà Egitto e dal marzo 1941 dirigeva Il Corriere d’Italia, al quale Cialente collaborò con Enzo Sereni, Umberto Calosso e altri esuli. L’incarico, che segnò l’inizio del suo «giornalismo combattente e stressante» a Radio Cairo, le era stato affidato nell’incontro segreto del 18 ottobre dello stesso anno con l’esploratrice e saggista italo-britannica Freja Stark e il colonnello J.B. Thornhill, nell’ufficio di Zamalek in via Nabatat 6. Fino al 14 febbraio 1943, con l’aiuto di Anna Caprera, pseudonimo dell’etnologa ebrea Laura Levi, condusse il programma serale Siamo Italiani, parliamo agli Italiani, contro la propaganda fascista indirizzata ai prigionieri di guerra nei campi di concentramento anglo-egiziani. Dopo sette mesi di duro lavoro («La Radio ha ottenuto buoni risultati», scrisse nel Memorandum del 20 agosto 1941, allegato al Diario di guerra), un malore la costrinse a interrompere l’attività «per la grande stanchezza e il clima bestiale del Cairo» che ebbe a soffrire nella stanza della Pension Viennoise, al n. 11 di Via Antikhana (cfr. Middle-East…, cit., p. 143). Nei mesi di febbraio e marzo del 1942 si trovava a Gerusalemme con un passaporto falso (col nome di Fausta Francioni), per aiutare il capitano Albert Nacamuli militante nelle forze britanniche «a fondare la sezione italiana delle trasmissioni clandestine», nel difficile contesto della lotta antifascista in Palestina (F. Cialente, lettera a Bernard Burrows, 18 ottobre 1942, in Diario di Guerra, cit.). Qui trascorse l’estate, assieme alla figlia Lili, alloggiando presso l’abitazione del capitano Nacamuli, col quale in seguito intrecciò una breve ma intensa relazione sentimentale (cfr. Asquer, 1998, pp. 74-83). Rientrata al Cairo, nell’ottobre 1943, fondò con Laura Levi Fronte unito, «Settimanale italiano indipendente di lotta, informazione, cultura» con sede di via Galal 24. Poco più di un mese dopo, la sera del 26 novembre 1943, il fratello Renato morì tragicamente nella Roma occupata dai nazisti; l’incidente, provocato dal sospetto investimento di un automezzo militare tedesco, all’uscita del teatro Argentina, avvenne subito dopo il successo della prima de L’albergo dei poveri di Maksim Gor'kij. La notizia luttuosa, comunicatale dai familiari quando era ormai diventata di dominio pubblico, la raggiunse nella sua casa di Alessandria, dove trovò l’assistenza della figlia e del genero che da allora costituirono riferimento insostituibile per la sua vita affettiva. Alla fine del 1943, infatti, risale il fidanzamento della figlia Lili con il giovane ufficiale inglese John Muir (1918 -90), nato in India ma di origini scozzesi, che Lili sposò nel 1945. Il 13 marzo 1944, alla vigilia della ‘svolta di Salerno’, la visita nella redazione di Fronte unito di Palmiro Togliatti che dall’Unione Sovietica tornava in Italia, le dette nuovo impulso a persistere nell’azione antifascista, come raccontò in un articolo vent’anni dopo: «Superando notevoli difficoltà, avevamo da poco fondato – un gruppo di amici antifascisti ed io – un settimanale di “politica e cultura” destinato ai prigionieri italiani di guerra che affollavano i campi del Medio Oriente […]. Avevamo occupato di prepotenza un appartamento al piano terra di una bella casa di Zamalek, situata sulla riva del braccio “piccolo” del Nilo» (F. Cialente, «Ma sì – disse – sono Ercoli», in l’Unità, 30 agosto 1964). Nello stesso anno, su Fronte unito (29 giugno 1944, p. 3) pubblicò il racconto Nel bosco di Alba De Céspedes, la scrittrice italo-cubana con la quale condivideva la militanza antifascista e l’amicizia con Sibilla Aleramo. Di poco successiva (20 ottobre) è la pubblicazione della novella Stagioni sul Delta, titolo che diede «ad alcuni stralci di Cortile a Cleopatra, che vanno a comporre una narrazione indipendente, suddivisa in tre sezioni intitolate rispettivamente Aprile, Agosto e Ottobre, e pubblicate sulla terza pagina di “Fronte Unito”» (E. Carbè, La città di sabbia, 2012, p. 7, n. 29). Nonostante la determinazione della direttrice, attestata dall’editoriale Necessità di fare da sé (24 novembre), la gestione del periodico si fece problematica per le difficoltà finanziarie derivanti dallo scarso successo di vendite che la indussero a rifondare il settimanale con il titolo Il Mattino della domenica, diretto fino al termine del 1946 (S. Aleramo, Diario di una donna, p. 111). La fine del periodo egiziano, nel 1947, coincise con la separazione dal marito, ma anche con la rottura della relazione segreta con Nacamuli, con il quale aveva condiviso le alterne vicende dell’avventura antifascista in Medio Oriente; nel Diario di guerra annotava, il giorno del ritorno in Italia: «Ho lasciato il Cairo oggi a mezzogiorno, per sempre forse. Sei anni di lavoro, di lotte, di passioni. Sono atrocemente triste ma calma» (sera del 3 marzo 1947). Nel maggio di quell’anno, la ripresa dei rapporti con Alba De Céspedes che la invitava a collaborare a Mercurio, si limitò alla recensione del volume di liriche dell’amica Aleramo, Selva d’amore (ibid., V [1948], n. 35, pp. 110-112), poiché il mensile interruppe le pubblicazioni pochi mesi dopo. Nel frattempo, dopo aver trascorso l’estate del 1947 nel Varesotto, si era trasferita con la madre a Roma, dove aveva preso in affitto un appartamento con vista sul Gianicolo, a Villa Brasini, sulla via Flaminia, dove ospitò il nipote del marito, Paolo Terni, il quale nei primi anni Cinquanta maturò il passaggio dagli studi di giurisprudenza per la carriera diplomatica alla passione per la musica e all’attività giornalistica, grazie alla vicinanza morale e intellettuale della scrittrice (cfr. P. Terni, 2013, pp. 61-64). A Roma, nel secondo dopoguerra, si dedicò a un’intensa attività giornalistica, collaborando agli organi del Partito comunista italiano (PCI) o vicini al partito, al pari di Sibilla Aleramo che offrì il suo appoggio a Togliatti nella politica di apertura al movimento di emancipazione delle donne, a sostegno del decreto sul suffragio femminile. Di qui l’adesione all’Unione donne italiane (UDI), per la quale seguì i lavori del primo congresso, il 25 ottobre 1952, entrando a far parte della giuria del premio per le giovani scrittrici istituito in quell’anno. Rilevante fu soprattutto il contributo a Noi donne, il periodico dell’UDI diretto Maria Antonietta Macciocchi, la cui redazione era uno spazio di incontro con una vasta schiera di collaboratori (da Miriam Mafai a Lietta Tornabuoni, da Guido Aristarco a Gianni Rodari). Tra i molti e diversi interventi editi fra il 1949 e il 1955, spicca il reportage sulla condizione delle lavoratrici in Inghilterra (Visita alle “ragazze cattive”, 24 settembre 1950, n. 38). A questa collaborazione si aggiunse quella più sporadica, ma non meno rilevante, con l’Unità di Pietro Ingrao (in cui pubblicò un’inchiesta sulla miseria a Napoli nell’autunno 1951), con Rinascita, il mensile fondato nel dopoguerra da Togliatti, nonché a due settimanali di area marxista come Il Contemporaneo, fondato da Romano Bilenchi, Carlo Salinari e Antonello Trombadori nel 1954, e Vie Nuove, periodico «di orientamento e lotta politica» diretto da Luigi Longo. Benché si trattasse di un impegno faticoso e spesso frustrante, tale attività attestava – tra cronache, recensioni, racconti, inchieste, corrispondenze dall’estero – la pervicacia di un impegno civile vòlto alla difesa dei valori della libertà, della laicità e della solidarietà sociale, e soprattutto per l’emancipazione femminile, nella diuturna lotta contro il dominante conformismo borghese e il sopravvivente clerico-fascismo. Nel 1953 giunse il riconoscimento tardivo di Cortile a Cleopatra, riedito da Sansoni nella Biblioteca di Paragone di Anna Banti, con un’appassionata prefazione di Emilio Cecchi («Noi invidiamo – soggiungeva – quelli che lo leggeranno ora per la prima volta»), cui fecero eco le recensioni di Eugenio Montale nel Corriere della sera che elogiava la tessitura del romanzo per «la singolare arte che la Terni Cialente ha di comporre non componendo» (8 luglio 1953) e di Adriano Seroni che ne sottolineò il distacco dalla tradizione italiana contemporanea, su Paragone, nell’agosto dello stesso anno. Intanto, dopo la morte della madre, avvenuta a Roma il 27 febbraio 1955, Fausta Cialente si disponeva ai nuovi viaggi in Europa e in Medio Oriente, da Kuwait City a Baghdad, e nelle altre città in cui soggiornava Lili, al seguito del marito John Muir, arabista di professione («Da quando era morta mia madre desideravo soltanto di ritrovarmi con mia figlia, che del resto mi aveva chiamata e mi aspettava»: Le quattro ragazze Wieselberger, cit., p. 244); nel 1956 si recò in Kuwait, il Paese che attraversava un impetuoso processo di occidentalizzazione – «dal cammello alla cadillac» come scrisse nelle Quattro ragazze Wieselberger (ibid., p. 249). Al biennio 1956-57 risale l’acquisto del terreno e la costruzione della villa Il Grillo, a Coquio-Trevisago dove si fermò per seguire gli ultimi anni di vita del marito Enrico, morto il 1° maggio del 1960, a pochi mesi di distanza dalla scomparsa dell’amatissima Aleramo, e dove in seguito ospitò diversi artisti, scrittori e intellettuali, da Piero Chiara, a Renato Guttuso, a Vittorio Sereni. Fu allora che, dopo lunga gestazione, alla fine del 1960, terminò Ballata levantina, romanzo che inaugurava il suo originale modello narrativo, sostanziato da una vibrante tensione morale e derivato dalla sapiente combinazione di indagine storica e narrazione autobiografica. La ripresa dell’attività letteraria era favorita dal sodalizio con Feltrinelli che pubblicò il libro nell’aprile del 1961 nella Biblioteca di letteratura diretta da Giorgio Bassani. Il romanzo sfiorò lo Strega (secondo posto ex aequo con Un delitto d’onore di Giovanni Arpino, con un solo voto di scarto dal vincitore Ferito a morte di Raffaele La Capria), riscuotendo l’attenzione della critica (dall’apprezzamento parziale di Luigi Baldacci e Pietro Citati al pieno consenso di Anna Banti e Bassani) e vinse il premio selezione Marzotto, mentre due anni più tardi uscì la traduzione inglese di Isabelle Quigley, The Levantines, edita da Faber and Faber (London 1963). Intanto, nel 1962, scrisse a Cocquio Marcellina, novella ambientata nel secondo dopoguerra e raccolta nel volume intitolato Pamela o la bella estate e altri racconti, edito da Feltrinelli con una breve presentazione dell’autrice; nello stesso anno pubblicò nella collezione feltrinelliana dei Narratori la traduzione di Clea: romanzo dell’anglo-irlandese Lawrence Durrell che chiude la tetralogia del Quartetto di Alessandria, dal quale in seguito prese le distanze, in quanto rappresentazione immaginaria di un Egitto che nella realtà storica «non esisteva, assolutamente» (cfr. M. Vallora, 1982, p. 255). A questo periodo risale anche la revisione di quei racconti giovanili che ancora attendono indagini di critica variantistica in grado di ricostruirne le complesse vicende redazionali ed editoriali, nei passaggi dal manoscritto, al periodico al volume; ad esempio Passeggiata con Angela, scritto originariamente ad Alessandria tra il 1936 e il 1937 e pubblicato l’anno dopo nel Giornale d’Oriente, venne dapprima riproposto in rivista su Noi donne nel 1950, quindi riscritto nel 1962 col titolo Canzonetta per l’antologia di Luigi Silori Nuovi racconti italiani edita nello stesso anno, rivisto in una ulteriore stesura datata Trevisago 1965, e infine raccolto in volume nel 1976. Nel 1966 pubblicò con Feltrinelli Un inverno freddissimo, romanzo familiare ambientato nella Milano del secondo dopoguerra, durante il lungo inverno del 1945-46, «interamente scritto nel Varesotto» (Interno con figure, cit., p. XVI). Ripubblicato da Feltrinelli nel 1976, nello stesso anno Tullio Pinelli ne ricavò la sceneggiatura per il popolare film televisivo a puntate Camilla, con Giulietta Masina, diretto da Sandro Bolchi. Trascorse gli anni Settanta tra la villa di famiglia a Cocquio, i soggiorni romani in un piccolo appartamento a Monteverde, e i frequenti viaggi all’estero, tra Europa e Medio Oriente, ospite della figlia Lili. In questi anni fu decisivo il passaggio a Mondadori, presso cui pubblicò Il vento sulla sabbia (1972), l’ultimo romanzo ‘egiziano’ che si aggiudicò il premio Enna nel 1973, e nel cui tragico finale Franco Cordelli individua un vertice del moralismo novecentesco (cfr. la prefazione a Cortile a Cleopatra, Milano 2004, p. 16); quindi la seconda edizione di Ballata levantina (1974), e infine il suo libro più celebre, Le quattro ragazze Wieselberger (pubblicato nel giugno del 1976): sulla via tracciata da Ballata levantina, veniva a delinearsi una meditata, dolente e vigorosa autobiografia, proiettata sullo sfondo del travaglio morale dell’Italia novecentesca, metafora della più generale malattia europea: la rievocazione del mito familiare nella Trieste asburgica e cosmopolita si tramutava così in atto d’accusa contro una borghesia miope e rapace, che avrebbe finito col cedere alla deriva fascista scivolando dall’irredentismo al nazionalismo, dall’intolleranza antislava all’odio antisemita. Va segnalata altresì la nota di chiusura all’edizione Mondadori, che reca il ringraziamento a un’esponente autorevole dell’intellighenzia triestina, la «cara amica e dottoressa Laura Weiss», comunista e femminista militante, «per la preziosa documentazione, i consigli e i suggerimenti» di cui ebbe a giovarsi durante la stesura del libro. Il 7 luglio 1976 Le quattro ragazze Wieselberger fu insignito con il premio Strega, grazie al sostegno di Giorgio Bassani e Giovanni Macchia. L’affermazione sollecitò la revisione e la riproposta delle novelle giovanili, raccolte con il titolo complessivo di Interno con figure e precedute da un’importante Introduzione critico-autobiografica, datata «Trevisago (Varese) giugno 1975», in cui spicca il rilievo ermeneutico sul linguaggio musicale «in cui mi sembra si debba cercare il vero ritmo della mia narrativa» (p. XVII). Sempre nel 1976 uscì a Firenze, presso Giunti, la versione di Piccole donne di Louisa May Alcott, seguita l’anno dopo da Le piccole donne crescono (ibid. 1977) e da Piccoli uomini (ibid. 1981); da ultimo, nel 1982, la scrittrice tornava a Natalia, il romanzo d’esordio, ripubblicato con varianti significative nella collana mondadoriana Scrittori italiani e stranieri, con una presentazione di Carlo Bo, rimettendo così in circolazione il romanzo giovanile bloccato dalla censura fascista. Ma gli anni Ottanta furono dedicati in prevalenza alle traduzioni dall’inglese: alla versione de I miti greci (Milano 1982) di Nathaniel Hawthorne per gli Editori riuniti, seguì la traduzione di Giro di vite di Henry James (Torino 1985), edita nella collana einaudiana Scrittori tradotti da scrittori; nella Nota del traduttore la scrittrice si soffermava sulla vicenda ambientata nella campagna dell’Essex, a Nord di Londra, e narrata nei modi del gothic novel: un genere a lei poco congeniale che la riconduceva tuttavia alle prime esperienze narrative e alla predilezione per i personaggi e le storie infantili. Gli spostamenti periodici tra Italia e Regno Unito (con i passaggi a Londra, Edimburgo, Bath, York) furono sollecitati dalla nascita di un’altra nipote a Leeds, e dal trasferimento della famiglia Muir a Pangbourne, sul Tamigi, «piccolo paese del Berkshire dove mi è dato di potermi ritrovare di tanto in tanto», come scriveva nella sua introduzione a una guida dell’Inghilterra, nell’evocare l’atmosfera quieta e dimessa di «un pub che spalanca le sue vetrate su un praticello di tenera erba e l’acqua del bel fiume scorre mormorando ai nostri piedi» (Immagini dal vero, pp. 8 s.), e dove si stabilì definitivamente dalla metà degli anni Ottanta, per trascorrere gli ultimi anni nella dimora della figlia Lili. Morì a Pangbourne l’11 marzo 1994.

Fonti: https://www.treccani.it/enciclopedia/fausta-cialente_Dizionario-Biografico

Opere principali dell’autrice
1929 Marianna (racconto)
1930 Natalia, Editrice Sapienza
1936 Cortile a Cleopatra, Corticelli
1961 Ballata levantina, Feltrinelli
1962 Pamela o la bella estate (racconto)
1972 Il vento sulla sabbia, Mondadori
1976 Interno con figure (racconto)
1976 Le quattro ragazze Wieselberger (Premio Strega 1976)
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